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Introduzione
Sino alla fine degli anni cinquanta il fumetto viene considerato in Italia come un sottogenere della letteratura per l'infanzia. La pubblicistica sull'argomento non vedeva motivo di oltrepassare questi limiti (sebbene si fossero viste serie analisi già sul Politecnico di Vittorini nei primi anni del dopoguerra), se non per stigmatizzare le caratteristiche "diseducative" del prodotto. Questa scarsa considerazione non stimolò gli autori ad un approfondimento nella ricerca delle possibilità del linguaggio, né d'altronde un miglioramento qualitativo poteva venir facilitato dai pesanti ritmi di lavoro cui essi dovevano sottoporsi. Il pubblico stesso si assuefaceva alla fruizione di prodotti di basso livello, e non avrebbe mostrato interesse per messaggi visuali meno stereotipati.
I primi accostamenti scevri da pregiudizi verso il fumetto iniziano con il nuovo decennio. Nel 1961 esce presso Mondadori I fumetti di Carlo della Corte, che costituisce, pur con comprensibili imprecisioni, il primo volume italiano, ed europeo, sull'argomento. Altri libri vengono dati alle stampe: dall'antologia I primi eroi di Caradec, con prefazione di Renè Clair, all'Almanacco Letterario Bompiani 1963 dedicato alla civiltà dell'immagine, si sancisce l'importanza ormai assunta dal fumetto. Datano 1964 due volumi che analizzano acutamente il medium dal punto di vista semiologico e da quello sociologico: Apocalittici e integrati di Umberto Eco e Il sortilegio a fumetti di Roberto Giammanco. Si vanno intanto moltiplicando su giornali e riviste gli articoli: sono perlopiù scritti dagli ex lettori dei settimanali per ragazzi degli anni trenta-quaranta, e risultano spesso mossi più dalla nostalgia che da intenti critici.
Coloro che avevano saputo riconoscere lo spazio occupato dal fumetto nella propria formazione e nella società, iniziavano ad uscire allo scoperto e a contattarsi: poteva essere utile un incontro fra studiosi, appassionati ed autori. Ospitato dal Salone dell'Umorismo, il 21 e 22 febbraio 1965 si svolge a Bordighera il primo Salone dei Comics, che dall'anno successivo verrà trasferito a Lucca. Si tiene una tavola rotonda con intellettuali, fra i quali è il regista Alain Resnais, e autori come gli statunitensi Lee Falk e Al Capp, noto per il comico-satirico Li'l Abner: indicativa dell'impressione che il Salone suscita in lui è la copertina che disegna per Life, dove ritrae se stesso incredulo in mezzo a critici che discutono rabbiosamente. Da quell'immagine si può evincere che negli USA era evento stupefacente l'approfondimento critico del fumetto, mezzo espressivo che comunque era lì nato sulle pagine dei quotidiani e letto senza vergogna dal pubblico adulto. Poteva dunque sulla copertina di una importante e diffusissima rivista apparire, e non era la prima volta, un disegno realizzato da un autore di comics su di un fatto che, per quanto curioso, era pur sempre appartenente nella sua interezza al mondo dei fumetti.
Se in Italia non si arriverà mai a tanto, è tuttavia grazie al Salone dei Comics che il nuovo e approfondito interesse verso il fumetto trova una cassa di risonanza per giungere ad un pubblico ben più ampio di quello degli appassionati e degli studiosi, iniziando così a scalfire il primo strato della crosta di preconcetti che faceva definire sottogenere per l'infanzia quello che è un linguaggio autonomo.
Gli interessi sinceri e la passione tenuta vergognosamente nascosta sino a pochi anni prima verso un linguaggio espresso per mezzo della stampa, non potevano che trovare il loro naturale e massimo sfogo in una pubblicazione: due mesi dopo il Salone di Bordighera nasceva Linus e iniziava con esso a forgiarsi la forma ideale per la divulgazione delle possibilità di uno dei mezzi di comunicazione e d'espressione più efficaci che l'uomo abbia mai conosciuto.
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Potranno esservi molteplici varianti, ma la configurazione di base di queste riviste vede una presenza preponderante di fumetti accanto ad una sezione di testi che nei suoi esempi più pertinenti al tema si occupa criticamente del mezzo e delle sue opere. Una funzione rara a trovarsi in periodici legati ad altre attività culturali, che, anche quando l'oggetto dei loro studi può essere diffuso direttamente tramite il supporto cartaceo, svolgono precipuamente funzione di critica (si pensi alle riviste letterarie).
Il linguaggio diretto e immediato del mezzo permette di arrivare ad ogni strato della popolazione, e quindi di essere testimone rapido e fedele dei mutamenti del costume, della società e della politica.
Seguendo le vicende delle riviste si può attraversare anche l'intera storia del fumetto: tutta è stata toccata da quei periodici, sia con articoli e sia soprattutto con proposte di opere che mai altrimenti si sarebbero viste in Italia. Una panoramica totale della produzione definita d'autore e anche una visione esaustiva delle punte di diamante di quella abitualmente considerata popolare (ma quelle strisce che rappresentarono la linfa delle più diffuse riviste nascevano proprio per soddisfare nei giornali quotidiani il bisogno di evasione delle più ampie fasce della popolazione).
L'alto livello, soprattutto nella parte disegnata, che oggi siamo abituati a trovare nel fumetto cosiddetto popolare viene anche dalla conoscenza che gli autori hanno potuto avere di opere di ricerca che senza queste riviste non avrebbero mai potuto essere realizzate: una ricerca nei testi e nei disegni che è spesso sbocciata naturalmente, grazie alla libertà e al maggior tempo a disposizione. Intanto si è andato facendo sempre più movimentato il percorso inverso, con la fitta presenza in pubblicazioni economiche di opere precedentemente classificate d'élite.
Percorrendo la produzione di queste riviste si ha anche uno specchio dei gusti e delle passioni delle generazioni di lettori di fumetti che si sono succedute negli ultimi quarant'anni: accanto al mutamento degli interessi per le nuove produzioni contemporanee, è utile notare come ogni lettore abbia voluto ritrovare sulla rivista adulta di fumetti anche quegli autori che con le proprie opere avevano fatto nascere la passione per il linguaggio. Dai classici degli anni trenta agli eroi neri ai manga, ogni generazione reclama un omaggio ai propri miti dal periodico che, quantomeno per confezione e prezzo, è chiamato a legittimare la propria passione ed arginare pregiudizi vetusti.
Dalla pubblicazione di una rivista di fumetti d'autore gli editori ricavano di rimando quantomeno un'immagine di prestigio, e questa può compensare la carenza, sperabilmente temporanea, di utili diretti. Sono abbastanza frequenti, e ormai costanti negli ultimi anni, i giustificatissimi peana contro gli aumenti delle materie prime e la contrazione del numero dei lettori. Eppure queste testate sono state sostenute con ogni mezzo possibile, più di quanto abitualmente si faccia con un albo a personaggio fisso: ciò appunto per l'immagine che una simile rivista porta alla casa editrice.
Certamente c'è l'esempio irraggiunto di Linus, che a lungo superò le centomila copie di tiratura: ma anch'esso stentò per parecchi mesi prima di pareggiare costi e ricavi. E anche quando questo accadeva, le cose non andavano affatto bene per il contraltare avventuroso, Sgt. Kirk, che per resistere dovette abbandonare le edicole e tentare faticosamente altre distribuzioni. Magri utili vennero a Gino Sansoni da Horror, che nei primi anni settanta aveva una vendita (venticinquemila copie) che oggi la porrebbe ai vertici del settore. Poté capitare che Corto Maltese fosse leader fra le riviste d'avventura e al tempo stesso pesasse con perdite di centinaia di milioni di lire ogni anno sul bilancio della propria casa editrice: trattandosi di una grande industria come Rizzoli, il danno poteva essere quasi ignorato. Altri per tentare la sortita fra le riviste d'autore ricorre agli aiuti iniziali provenienti da settori diversi dell'editoria. C'è poi il caso di Frigidaire che, diventando un "mensile a carattere politico", riuscì ad avere dallo Stato un qualche contributo, minima cosa comunque rispetto a quelli assegnati ad altre forme espressive, quale ad esempio la lirica. C'è stato anche chi ha colto, o creduto di cogliere, un momento buono per inserirsi in una situazione di mercato, in un filone o in una moda passeggera ed entrare nel settore con intenti speculativi. Ma il caso più frequente è quello dell'editore di fumetti che crea una rivista di prestigio soprattutto per la passione che nutre verso quel mezzo, e la produce contando unicamente sulle risorse che gli provengono dalla sua attività. Si configura così quale editore puro, caso ormai raro, soprattutto nell'editoria periodica dove potenti gruppi finanziari tendono all'assorbimento delle aziende medio-piccole. [...]
Quali che siano le molle che spingono alla pubblicazione delle riviste di fumetti d'autore, l'importante è che continuino ad esistere, per poter dare agli autori e ai lettori uno spazio dove il fumetto possa ancora fare conoscere le proprie possibilità, studiarle e scoprirne di nuove, che potranno sembrare inconsuete oggi, usuali fra vent'anni e banali fra trenta. È l'evoluzione che accompagna ogni linguaggio, ed ancor più uno nuovissimo come questo.
Giuseppe Peruzzo
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