Prefazione di Antonio Faeti
L'archivio affettuoso
Ho concluso, da pochi mesi, un corso di storia e critica del fumetto che è stato assiduamente frequentato da un notevole gruppo di giovani. Pensando all'età che ho io dovrei scrivere: giovanissimi. Erano attenti e partecipi, si notava molto bene come in loro si producesse un decisivo cambiamento: stavano tutti transitando da una passione acritica e astorica a un interesse reso anche più vivo dalla memoria storica e dalla propensione ermeneutica. Scoprivo, con allegro sconcerto, che, appunto, appartenevano già alla Storia, fatti, accadimenti, figure, episodi, notizie che erano bene inseriti nella mia vita di ieri. Non avevo, propriamente, gli strumenti che avrei voluto indicare ai miei giovani interlocutori. Non avevo questo libro di Peruzzo che si pone, oggi, come un denso contenitore di dati e di riferimenti, molto adatto ad aiutare il pieno definirsi di una coscienza avvertita nei confronti di una grande e complessa stagione. C'è, propriamente, un problema storiografico come presupposto essenziale di questo libro. Ne avverto però anche l'importanza pedagogica, forse addirittura quella etica. Per molto tempo il fare storia ha significato procedere a un rigido e preliminare processo di esclusione. Si descriveva la Francia di Napoleone, ma si taceva delle stampe di Epinal, si raccontavano le vicende dell'Impero britannico, ma non si alludeva al "gingoismo", i tantissimi libri sul nazismo non contenevano neppure un riferimento alla società Thule. Nelle pagine di libri di questo tipo c'era sempre come un vuoto, come una strana inconstitenza, quasi una "zona morta" come quella mirabilmente creata da Stephen King. Ora si considerino, per contro, in questo bel libro di Peruzzo, quelli che si possono ben definire "gli anni di Linus". Sembra possibile raccontare, descrivere, interpretare l'Italia del boom, l'Italia dei contrasti, dell'Oscar alla Lira e di Rocco e i suoi fratelli, delle prime vacanze di massa e dei "morti di Reggio Emilia", se non si allude mai a Linus? Molto giustamente Peruzzo, che delle riviste è archivista minuzioso, oculato, inflessibile, dà corpo anche a una speciale ermeneutica, attenta sia alla loro esteriorità sia alla loro specificità che a volte le rendeva tanto uniche quanto molto imitate. Si deve, fra l'altro, anche considerare come, in generale, la cultura italiana nel suo complesso sia molto in debito con quella che è stata definita la "ventura delle riviste": oggi nessuno sottovaluta Lacerba, L'Italiano, La Ronda, La Voce, Il Menabò, Rendiconti. Ma sono esistiti anche "gli anni di Linus". Già dall'impostazione grafica, dal formato, dalla sobria eleganza pervasa come da una indefinibile impronta bodoniana, la rivista manifestava una sua complessiva intenzionalità pedagogica. Diceva che dovevamo cambiare. Proprio partendo da una accurata ripulitura di tutto quanto un certo razzismo accademico aveva riversato sui fumetti, asseriva che il sogno collettivo, le "finzioni occidentali", il nostro immaginario dovevano essere coltivati non con supina accettazione degli eventi, ma con avveduta e colta consapevolezza. Per buona parte dei suoi anni iniziali, Linus fu, e non poteva evitare di esserlo, anche una rivista "di storia", perché ritrovò personaggi, atmosfere, creazioni, mode, tendenze, di cui nessuno, o quasi, si era occupato prima. E congiunse una appassionata ricerca delle radici più ignorate - ma spesso importantissime - con la promozione di talenti nuovissimi: un caso simbolico fu quello di Guido Crepax, trasportato dalle copertine, dalle illustrazioni, dalla pubblicità, proprio da Linus, verso una gloriosa carriera di fumettista. Ma in questo libro di Peruzzo accade di dover fare (di poter fare) soprattutto alcuni fondamentali confronti, perché l'autore ci offre una esatta mappa dei riferimenti, anche cronologici, con cui sappiamo orientarci. Perché se Linus ebbe un'importanza fondamentale per creare un certo clima e per definire certi ambiti, una non dissimile rilevanza ebbero riviste come Sgt. Kirk o come Frigidaire. Mentre la prima trasformò Pratt da nascosto collaboratore del Corriere dei Piccoli in un maestro indiscusso e in una guida stilistica, la seconda condensò in metafore di straordinario rilievo i sogni e gli incubi di una generazione. Il libro di Peruzzo sarà di grande aiuto ai consapevoli amanti della storia del fumetto. Ma può essere letto in molti altri modi. Archivista attentissimo e ricco di ogni altro tipo di informazioni, l'autore non si limita mai a precisare date, a fornire riferimenti, a indicare collocazioni. Si schiera sempre, sa porsi costantemente in una dimensione critica e sa valutare. Così questa è anche una storia di uno strumento di comunicazione, raccontata nella sua pienezza di motivi, con le oscillazioni del gusto, le avventure sfortunate, gli esiti incerti, i trionfi, le cadute. E si scorge anche un paese, l'Italia, dietro questa puntuale rassegna di riviste. Allora il libro appare anche come una storia della nostra mentalità collettiva, vista da una certa angolazione. Si sa che l'Italia, con la moda, il design, l'arte, il patrimonio visivo, la cultura del buon vivere, il piacere di nutrirsi di sempre nuovi stimoli intellettuali, è impegnata in una grande sfida, l'unica sfida che si colleghi a speranze, a reali scenari di sviluppo. Così, strumenti critici del tipo di quello qui proposto aumentano la possibilità di vincere questa sfida. Dialogavo, venti anni fa, con i giovani talenti del gruppo Valvoline Comics che per molte e complesse ragioni (alcune si colgono anche nel libro) si erano riuniti a Bologna. Proprio quando si affermavano come maestri, la città non ha saputo e voluto trattenerli, non ha mai ricambiato il loro affetto. Considero il libro di Peruzzo anche come un talismano: dovrà servire a far sì che un simile disastro non si ripeta.
Antonio Faeti
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